Un sold out di una società ancora sognante
di Paolo Cavaleri
“… per aver avuto delle intuizioni, devo dire delle volte, molto amare e dolorose, però anche quello è servito a farvi capire che ho provato anch’io le stesse identiche sensazioni durante il mio percorso artistico che non differisce da quello umano perché la coerenza credo che sia fondamentale. Non saremmo tutti qui se io non fossi stato attento alla mia coerenza, e non avessi dimostrato di mantenere saldo questo mio pensiero e questo mio amore verso di voi”
Sono parole di Renato Zero durante il suo tour 2024 chiamato ‘Autoritratto’ nella tappa al Modigliani Forum il 9 ottobre a Livorno.
Lo ammetto, quando si tratta di musica, non ho mai avuto la preferenza di un singolo autore, anche se ho suonato vent’anni, scritto ben poco, ma ascoltato molti generi. Questo perché nei primi anni di studi musicale, il cruccio era capire i suoni, gli accordi, le armonie e le combinazioni più adatte che ricalcassero quei pensieri che ogni ragazzo prova a esporre con un piano sotto alle dita, le parole che mutuano in rima, e un motivo che si anima quando la mano scrive note e punti, per quelle righe del pentagramma.
Qui, ringrazio mio cugino Gabriele, perché ore addietro chiamandomi dice: – ‘Stasera sei con me e si va vedere Renato Zero’- ed io incuriosito non posso che accettare.
Così, trovandoci in un pubblico di tre generazioni, memore del mito che è stato il cantante romano, nell’attesa, ascolto le parole di una folla matura, non più giovane, ma che parla come avremmo fatto noi se lo avessimo vissuto in quel tempo, dove oggi nel nostro, difficilmente, parolieri come lui emergono da un mercato musicale che privilegia immagine, rime brevi, parolacce gratuite e simboli dissacratori. Ora, si sa, Renato Zero non fu certo convenzionale e politicamente corretto – grazie al cielo aggiungo – e subito scopro che non è solo attuale, bensì utile anche ai futuri italiani per messaggi potenti di speranza, dove la diversità va coltivata al fine di rispettare una propria, singola e necessaria identità d’artista.
Il ragazzo fuggito da casa, quel giovane alla Bussola di Viareggio, il trasformista con gli occhi truccati, l’abbattitore di stereotipi. Tutti questi aggettivi, che ho sentito dal pubblico, erano ben poco a confronto con la viva emozione mostrata mentre cantava. Riconosciuto da tutti lo chansonnier che seppe catalizzare una serie di mode glam nella musica proponendo un modus, nei palinsesti tv e frangenti teatrali, egli è spettacolo di un mondo utile ai moderni. Adesso a settantaquattro anni, Renato Fiacchini, ha fatto di quello ‘Zero’, accezione dei denigratori di gioventù, uno dei tanti numeri per inserirlo oltre il cento. È vero che bisogna saper andare oltre il proprio gusto estetico, e in questo caso musicale, per cercare di comprendere. L’autore in questione col suo repertorio ha lanciato messaggi importanti ai giovani, perché testimone di cambiamenti, in cui comunque a loro sente di essere < ancora attaccato>.
Fra una canzone e l’altra parla di appartenenze familiari, che anche se non di sangue è egualmente importante avere, da qui omaggia i suoi collaboratori, musicisti e coordinatori artistici: chitarre acustiche ed elettriche, tastieristi, sassofonisti, bassisti e percussionisti, e in bellezza, audaci coristi che omaggiano <il mio repertorio osè> con “Madame”, “Mi vendo”, “Il Triangolo”, “Baratto” e altre.
Le melodie di “Vivo”, la fiera ostinazione di “Ancora qui”, la dolcezza de “I Giardini che nessuna sa”, la dedica di “Amico”, l’inno di “A braccia aperte”, l’invito in “Cercami”, le riflessioni di “Bella gioventù”, l’inquietudine di “Vizi e Desideri”, i consigli da “Il grande mare”, la speranza ne “Il coraggio delle idee”, l’attesissima “Il cielo” e l’immancabile “I migliori anni della nostra vita” , celebrano un percorso autorale dove un mito reale è prova che essendo fedeli a noi stessi possiamo, sempre a qualunque età, esporci.
Zero ha dato anche una stoccata a tutti i potenti, oggi distanti dalle vere necessità delle persone, lanciando un appello di umanità dei rapporti che non deve morire, e dunque auspicando a un riequilibrio delle dinamiche sociali che possono ancora salvarsi vivendo i nostri sogni.
Di seguito il filmato